OVVERO DELLE CALCI AEREE
Come ho già scritto, le Calcine aeree sono quelle che fan presa quando si asciugano e conseguentemente induriscono se esposte all'aria. Per far la calce si prendono dei Calcari dai fiumi, dai monti o dalle cave e si mettono a cuocere nei forni da Calcina, benché una volta si usasse cuocere queste pietre anche negli stessi forni in cui si cuocevano i mattoni. Dopo circa 20 ore di buona fiamma di legna o altro, le pietre hanno perduto tutta l'acqua e l'anidride carbonica in esse contenuto. Questi calcari, da carbonato di calcio che erano, si tramutano dopo la cottura, in ossido di calcio, ovvero quelle zolle bianche e fragili che i nostri Vecchi andavano ad acquistare a carrette nelle Calchere e che noi tutti chiamiamo Calce viva.
La trasformazione da Carbonato di Calcio in Ossido di Calcio, ovverosia la sopraddetta Calce viva, si ottiene a temperature di circa 900°C. Non è consigliabile spingere la fiamma oltre tale temperatura per non ottenere una calcina abbruciata, ovvero troppo compatta e poco avida d'acqua, il che ne ridurrebbe la resa in grassello. Di forni da calcina propriamente detti, se ne son veduti di due tipi. Uno, molto antico, è costruito come una torre cava nella quale vengono posti alternativamente calcari e strati di legna o carbone, alla base della quale viene attizzato il fuoco, che si propaga lungo l'intera torre, per la cottura dei sassi. Le calcine ottenute da questi forni sono oggi però di scadente qualità, in quanto, essendo perlopiù il carbone usato come combustibile, queste vengono estratte all'uscita del forno assieme alle ceneri, le quali ceneri possono contenere indesiderati residui di zolfo. Per ovviare a ciò, v'è un altro forno da Calcina ove il fuoco viene alimentato in un vano separato dalla cavità della torre ove si trova ammassato il calcare. Tra il prefurnio e la cavità, vi passa la fiamma viva che avvolge le pietre, le quali, dopo il tempo di cottura, vengono fatte uscire da un portello retrostante.
Questo forno dicesi continuo e cuoce ottime Calcine; e la calce che esce dai forni dicesi viva poiché con l'acqua reagisce violentemente; e tolta che sia la detta calce dal forno, questa si mostra come sassi leggeri, porosi e friabili che all'aria facilmente sfioriscono cadendo in polvere. Nel più lontano passato le calcine venivano anche cotte in calchere scavate e murate nel terreno: e benché tale antica pratica sia oggidì per lo più disusata, non si può dir che sia del tutto scomparsa. Vi sono ancora, in alcuni piccoli villaggi nascosti tra le crode della Venezia Carsica, uomini, donne e giovani ragazzi che nei giorni di Pasqua vanno per quei monti tutt'assieme a raccogliere sassi da calcina; e questi vanno dal monte al piano, in più volte, portando nelle gerle il loro pesante carico. Tra le poche case, nel mezzo del villaggio, viene scavata una fossa larga due metri, lunga quattro e profonda un paio di metri circa. I vecchi del luogo, i quali sembrano aver imparato quest'arte dai loro Padri, ammassano i sassi nella fossa, a più strati, mettendo tra questi ogni sorta di legname che hanno lasciato a ben rinsecchire sin dall'anno precedente.
Quando la fossa è colmata con sassi e legna, a questa vien appiccato il tra l'esultanza di tutti e quando le fiamme nella fossa danno segno di abbassarsi, la fossa vien coperta con la terra che si era levata dallo scavo, lasciando in più parti opportune aperture affinché ne possa entrare l'aria e uscire il fumo. In questo modo i sassi rimangono nella fossa a calcinare per oltre due giorni. Passano ancora tre giornate prima che i calcari cotti si raffreddino sufficientemente: dopo di che, rimossa la terra da sopra la fossa, i pani di calcina viva vengono tolti dalle ceneri e distribuiti alle famiglie in egual misura. E ognuno, per mezzo di gerle, zagotti o carriole se li porta a casa e se li spegne, nella propria piccola fossa nell'aia; e con il grassello che ne ottengono imbiancano stanze, facciate e stalle; e ciò che avanza vien usato per disinfestare gli alberi negli orti imbiancandone i fusti.
Tratto dal manuale:
“A Regola d'Arte”
Sulle calci, gli intonaci e i tinteggi.
di Gilberto Quarneti
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