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Della posa della malta di Cocciopesto

Quando si pongono in opera gli intonaci si deve ben guardare che questi non lascino tutta l'acqua alla muratura, perché se così fosse, le calcine si abbrucerebbero e non farebbero più presa; e perché ciò non succeda, è buona cosa bagnare abbondantemente il muro. Su detta pratica, così suggerisce il minuzioso Viola Zanini: Devono anco le muraglie esser ben bagnate fino a tanto che gettandovi l'acqua vada a passo senza fermarsi sopra il muro, lasciando nel bagnar qualche volta impassire il muro, e se posta ancor l'orechia al muro, finito di bagnare, non si senta rumor di friggere, darà segno di essere bagnato a sufficienza. Non bagnar il muro e lesinar sull'acqua porta danno alle calcine, ma paramenti s'avrebbero danni se, nel mescolar le malte, di questa ne mettessimo troppa, poiché la troppa acqua negl'impasti terrebbe lontane le particelle di calce che al fine mal legherebbero fra loro e farebbero una troppo debole presa. Per esser sicuri che l'acqua nella malta degl'intonaci non sia troppa, ne troppo poca si bagnino bene le murature e si impastino le malte con tutta l'acqua che ci va. Quando l'intonaco è ben steso in strati sottili tirati a cazzuola, si vuole che questo venga ben battuto con il frattazzo a mo' di Baculus, in guisa tale che le sabbie e il cocciopesto vengano ben costipati nelle vacuità createsi dall'eventuale eccesso d'acqua.

Così facendo si vedrà affiorare sull'intonaco quell'indesiderato eccesso d'acqua che sarà allontanato lisciando con la cazzuola per poi lasciar la malta ben impassire all'aria. Gli intonaci battuti sono i più resistenti perché la calcina ben pressata fa ottima presa avvolgendo sodamente le sabbie in essa cementate; e il lavoro di ferro, sugli intonaci lisciati, fa si che le sabbie scagliose che si trovano sulla superficie di questi, si dispongano tutte di piatto le une accanto alle altre come le squame d'un pesce, rendendo l'opera rifinita straordinariamente resistente alle piogge battenti. Riflettasi però che quanto s'è detto in passato, sulle virtù del Terrazzo, non può in alcun modo essere riproposto oggidì qualora in luogo del cocciopesto, ottenuto dalla macinazione di vecchi tegoli e mattoni, si usassero -come spesso avviene- mondiglie di mattoni trafilati o altre argille cotte a temperature relativamente alte. La delusione a cui taluni operatori vanno incontro, e che li induce a scriteriati apporti di legante cementizio, deriva proprio da ciò. I materiali argillosi cotti ad alta temperatura, purtroppo non sono di alcuna utilità per provocare effetti pozzolanici nelle malte. I cultori di questa antica pratica sappiano che da un impasto di calce e cocciopesto compatto e poco poroso, e da una malta di calce e sabbia, ne sorte pressoché il medesimo risultato. È infatti risaputo, che solo i mattoni porosi, cotti a temperature attorno ai 900°C possono avere una buona attività pozzolanica, che consiste nel fissare l'Idrato di calcio, costituito dalle calci grasse spente, dando luogo a un fenomeno di indurimento dalle caratteristiche idrauliche e non propriamente aeree; ciò è dovuto essenzialmente alla presenza dei Silicati solubili e Alluminati che costituiscono la materia dei mattoni stessi. È ovvio altresì che la calce, in queste malte, non solo reagisce col cocciopesto con essa mescolato, ma parimenti reagisce coi mattoni della muratura con essa tonacati: e più porosi e bagnati saranno quei mattoni, più profonda e radicata sarà la presa idraulica di quelle malte. Di fatto, le malte di cocciopesto diventano tutto un solido con le fabbriche con esse murate e tonacate: e l'acqua che questi intonaci freschi trattengono è così tanta che gli stucchi, a essi sovrapposti, non solo vi aderiscono in modo perfetto, ma con essi si consolidano lentamente nel tempo senza il timore di vederli abbruciare o fendersi. Si ricordi poi che lo spesso arricciato di cocciopesto è sempre stato preferito, dai mastri decoratori del passato, quale supporto per i levigatissimi tonachini marmorati. La molta acqua trattenuta dal terrazzo di cocciopesto consentiva a quegli artisti di rifinire ampie campiture senza timore di vedere quelle sgradevoli cesure, che altrimenti, un intonaco troppo asciutto avrebbe inevitabilmente evidenziato.

Dall' Idea dell'Architettura Universale, del 1615, dell'inesausto Scamozzi, così imparo: La calce diventa migliore di tempo in tempo e più perfetta, e però mista con le materie amiche, come i granzioli di coppo pesto o di scagli o simiglianti, hallora fa una presa grandissima nelle mura e particolarmente negl'intonachi.

Vien poi riconosciuto, similmente a quanto detto per le calci forti, che il processo di presa della malta di cocciopesto, inteso come indurimento, si compie in tempi molto lunghi, anzi lunghissimi. A tal proposito riflettasi come, nel nucleo di taluni Opus Caementitium romani, vecchi di duemila anni, le calcine stanno ancora a reagire colle pozzolane e il cocciopesto in essi cementate; e il tempo di presa, così straordinariamente lungo, che non da segno di voler trovar fine, da un canto consente grandi deformazioni plastiche a tutto vantaggio della stabilità delle fabbriche, dall'altro permette la continua trasformazione delle materie idraulicamente attive, le quali materie continuano a rassodare e rafforzare ancor più i manufatti col passar dei secoli. Da ciò se ne può concludere che le malte composte di calce e cocciopesto, o qual altra materia dalle virtù pozzolaniche, debbano migliorar col tempo. Va rammentato a tutti coloro che s'apprestano a rifare gli intonaci di calce su vecchi muri stonacati, che a nulla vale bagnar i mattoni con l'intento di ben far aderire i nuovi arricciati. La sola operazione di scaniatura delle vecchie croste d'intonaco è cosa insufficiente: infatti, le malte di calce originarie, allorché furono applicate, sono penetrate profondamente nei pori dei mattoni intonacati, occludendone le vacuità con particelle di calce, la qual calce ha reagito idraulicamente con le materie attive che costituiscono i mattoni stessi, ovvero: (SiO2+Al203+Fe203).

Se si vuol ottenere lo stesso effetto di adesione chimica, e non meccanica, dei nuovi intonaci di calce sui mattoni, sarà opportuno rimuovere le materie occludenti mediante energiche spazzolature, getti d'acqua, o delicate sabbiature, affinchè le muraglie, successivamente bagnate, possano riaccogliere, nei loro pori vuoti, l'acqua e la calce delle nuove malte; solo così si sarà certi che l'opera di intonacatura provocherà i medesimi fenomeni di adesione per reazione idraulica, che le precedenti malte causarono, ai tempi in cui i primi intonaci furono posti. Nel dubbio, se si vorrà aver certezza che gl'intonaci di cocciopesto, che si ripropongono, non debbano in alcun modo patire dello stato dei muri all'atto di porli in opera, sarà cosa saggia il cambiare la calce grassa con la mescolanza di due sorte di calce dalla differente natura: ovvero si dovranno mescolare assieme una metà di calce grassa e una di calce forte di sasso siliceo. Le malte così preparate fanno presta presa anche su quei muri che trattengono l'umidità e che dan segno di non volersi asciugare mai.

Gli intonaci di cocciopesto così preparati e posti in opera, ben battuti con le mazzuole, aderiranno indissolubilmente ai muri e sopravviveranno indenni sino alle più tarde età. Non è raro infatti ritrovare, sulle facciate dei nostri palazzi, che gli arricci marmorati, totalmente distrutti dalle ingiurie del tempo, hanno lasciato a nudo resistentissime e integre intonacature di cocciopesto. Chi volesse rendersi conto di quanto vado affermando, tocchi con mano gli intonaci dei Bagni di Scolastica dell'antica Efeso, in Anatolia: quegl'intonaci son spessi un palmo e son protetti da una crosta marmorata spessa un dito: in quel luogo si potrà facilmente notare che quelle invidiabili tonacature sono ancor tenacemente abbarbicate ai bessales dell'opus mixtum murario sottostante, e ancor resistono superbamente alla rovina e all'abbandono da secoli e secoli. I ricercatori dei primi dell'800 hanno ansiosamente ma invano cercato di svelare il segreto delle malte romane, tentando di scoprire la misteriosa materia che le rendeva così tenaci e flessibili. Oggi l'arcano è sciolto. L'ingrediente che provocava, e che ancor oggi provoca tanto stupore, è un elemento che non può assolutamente essere dominato dall'uomo, ma dall'uomo è subito: Il tempo. Calci grasse comuni, calci forti silicee, calci argillose, cocciopesto, pozzolana, marogna, ecc. sono tutte materie che evidenziano le loro virtù in processi naturali che abbisognano di tempi, che alla nostra osservazione di uomini contemporanei, appaiono lunghissimi. Come potrebbero le nostre menti frettolose concepire il tempoquale ingrediente principe per la preparazione di ricette che debbano essere in qualche modo in aderenza con quanto attinto dai nostri predecessori? Oggi, ahimè, con la cultura del ready madeè la filosofia del tutto, subito e a basso costo, prepariamo materiali e proponiamo soluzioni in modo da soddisfare il giudizio estetico immediato dei beneficiari della nostra opera, insensibili di ciò che il tempo potrà variare nell'intimo delle materie da noi usate. Se le materie usate saranno quelle conosciute dai nostri Vecchi allora il tempo ci sarà amico; se al contrario, saremo ciechi e sordi agli antichi insegnamenti, ci troveremo sempre più frequentemente a restaurare il già restaurato, consci sin d'ora che taluni restauripotrebbero essere veramente gli ultimi e definitivi, poiché a tanto scempio non vi sarà assolutamente più rimedio. Questa mia pessimistica osservazione già rattristava, più d'un secolo fa, l'Architetto Giacomo Boni, il quale, nel suo Venezia Imbellettata, 1885, già presagiva gli infausti e perniciosi effetti che la bigia innovazioneavrebbe portato nella sua bella città.

I primi biechi tentativi di simulare i vecchi intonaci di cocciopesto de copi rnasenài con un intruglio di Portland e ossido di ferro, che allo sregolato artigianofaceva sparagnar tempo e denaro, devono aver lasciato, alla prima perplesso, poi stupito, quindi allibito, seguentemente attonito, finalmente esterefatto il sensibile architetto.

Quel marciume steso a cazzuola, di color fragola guasta o papavero sbiadito, non avrebbe mai potuto competere in bellezza e solidità con l'intonaco di calce e tegole peste, dal bel color rosso gotico veneziano: liscio, ma non lucido, che acquista col tempo sfumature brune bellissime. E poi, a coloro che antepongono i nuovi cementi per la loro forza, v'è anche da dire che quest'intonaci antichi sono così tenaci, che per scrostarli occorre più tempo di quanto non ne impieghino quelli moderni a cader da soli.



Tratto dal manuale:
“A Regola d'Arte”
Sulle calci, gli intonaci e i tinteggi.
di Gilberto Quarneti
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