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Del Cocciopesto

Etiam in fluviatica aut in marina si qui testam tunsam et succretam ex tertia parte adiecerit, efficiet materiae temperaturam ad usum meliorem.

Così ancora Vitruvio, dal suo De Architectura, ci tramanda una delle sue tante preziose ricette atte a migliorare le comuni malte composte di calce e sabbia. Comunemente egli propone che la malta sia composta di tre parti di sabbia di cava e una di calce: oppure, disponendo di sabbia di fiume o di mare ben lavata, due parti di sabbia e una di calce; ma, come si legge nell'aurea traduzione dell'Amati, del 1829, il sommo Vitruvio afferma che se nell'arena, di fiume o di mare, vi si aggiungerà una terza parte di matton pesto, e passato pel vaglio, diverrà la calce di miglior riuscita e forza. Dalla sua stessa Opera possiamo attingere rari suggerimenti sull'antica pratica della preparazione delle malte da intonaco da apporsi sulle murature umide. L'architetto raccomanda, per i muri a pianterreno, una sgrossatura di calce e cocciopesto in luogo dell'arenato, avendo per scopo di impedire all'umidità, che sale dalla terra, di venire a contatto con l'arricciato e il pulimento; e aggiunge, che nel caso l'adesione dell'arricciato al muro avesse futuro incerto, la parete venga scialbata con latte di calce, affinché la sgrossatura di cocciopesto possa far presa. Infatti, se le pietre fossero inaridite non potrebbero direttamente ricevere né sostener l'intonaco se la calce, interposta fra i due strati, non facesse saldamente aderire l'uno all'altro; e posta che sia stata la sgrossatura, si applichino poi le successive mani di intonaco, usando del cocciopesto in luogo dell'arenato; quindi si potrà procedere per tutto il resto, ovvero coll'arriccio di stabilitura in calce grassa e la finitura marmorata.

Da Vitruvio, al Cennini, all'Alberti, al Palladio, la pratica della preparazione di un fondo in Cocciopesto, quale supporto per l'arriccio superficiale in calce bianca lisciata, è arrivata sino a noi immutata dopo quasi venti secoli; e io credo che gl'intonaci che ancor oggi dobbiamo rifare debbano essere uguali a quegli originari se vogliamo trarne gli stessi vantaggi e gli stessi risultati.

Nel suo commento a Vitruvio, nel 1556, nei suoi Dieci Libri Tradutti et commentati, il Barbaro rammenta: Fassi più tenera la calce crivellandosi la sabbia, più spessa diventa con sabbia angulare, più tenace con la terza parte di testole peste, ben incorporate e ben battute, e riafferma che la calce più fine e grassa non si debba usar per murare, ma per dare l'ultima lisciata al muro intonacato con grezzi strati di terrazzo(Calce e Cocciopesto) al fine di portar le superfici lucide come il marmo.

Palladio, sullo spesso intonaco di cocciopesto, vuol che si posino forti strati di arriccio in calce grassa rasata per togliere a questo materiale humile ogni connotato. Così facendo, colonne, capitelli, volute, muri, fregi e cornici diventano forme pure, dove, come scrive il Barbaro, L'intenzione dell'Arte supera i difetti della materia. Porre il bianco pietrigno dello stucco di calce sul terrazzo di cocciopesto, era diventata la pratica più comune per le intonacazioni nel periodo della Rinascenza e se si legge un qualsivoglia capitolare della fine del secolo scorso si vedrà che taluni precetti non son affatto cambiati. Tutte le facciate esterne, le muraglie interne ed i soffitti tutti, verranno indistintamente intonacati con due primi strati a calcestruzzo e due di malta dolce frattonata. Nei primi due si farà uso di calce di ciotolo frammista a matton polverizzato, sopra i quali, con latte di calce, a tre mani, sarà data l'imbiancatura.

Come si vede, anche nelle cose più semplici, altro non ci vien richiesto che ripetere quanto s'è sempre fatto da Vitruvio in poi.



Tratto dal manuale:
“A Regola d'Arte”
Sulle calci, gli intonaci e i tinteggi.
di Gilberto Quarneti
©2005 Lafarge Coatings Italia Spa
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